Per spiegare l’intervento di restauro eseguito sulla Collezione Lipchitz è necessario comprendere la natura stessa dei manufatti, quali modelli di studio dell’artista che fanno parte di una piccola “tappa” di un più ampio processo creativo, culminante nell’opera definitiva in bronzo. Il rispetto per ogni segno lasciato dall’artista è stato il punto di partenza che ha determinato l’approccio al restauro e la conseguente metodologia.
L’intervento si è concentrato sul mantenimento delle tracce di lavorazione, delle “patine” originali, e sulla ricomposizione delle opere pervenute in stato frammentario.
Le particolari caratteristiche dei manufatti in gesso, come la porosità, l’igroscopicità e la scarsa durezza, rendono il materiale estremamente deteriorabile. Tali caratteristiche hanno effetti sulle opere non adeguatamente conservate, che inducono brevemente ad un rapido degrado con effetti di distacchi di materia, perdita delle parti superficiali del modellato e attacco di agenti biologici. Inoltre, l’ossidazione degli elementi metallici di sostegno, inseriti come armatura interna alle opere, determina rigonfiamenti del gesso che portano a vere e proprie spaccature della materia.
I ventuno modelli in gesso della Collezione Lipchitz presentavano queste tipologie di degrado a diversi livelli di gravità, oltre ad uno spesso deposito di polvere imputabile al lungo soggiorno all’interno del laboratorio dell’artista, divenuto, da oltre un trentennio, un deposito.
Trattandosi di oggetti molto voluminosi, composti da più elementi, è stato necessario analizzare e redigere una scheda tecnica per ognuno, che documentasse nei particolari lo stato conservativo superficiale e soprattutto lo stato di “salute” delle armature metalliche poste all’interno dei pezzi.
Non tutti i modelli sono pervenuti integri, alcuni erano frammentati o mancanti di alcune porzioni di materia.
L’intervento di restauro è stato condotto con particolare attenzione alla conservazione delle patine superficiali e al rispetto delle forme originali, che noi restauratori abbiamo appreso e analizzato più approfonditamente osservando i cataloghi che ritraevano le opere nella versione finale in bronzo. Non è stato semplice individuare quando la patinatura superficiale è stata voluta dall’artista o quando è il risultato di numerose applicazioni di gelatine (per la realizzazione di calchi) che hanno impregnato il gesso conferendo una colorazione uniforme alla superficie.
Come per ogni intervento di restauro, sono state inizialmente eseguite su alcuni campioni le indagini diagnostiche per identificare la natura delle patine, condotte dal laboratorio scientifico dell’Opificio. Le analisi hanno confermato l’uso di distaccanti a base di gomma lacca e una vernice sintetica a base di nitrocellulosa inoltre si sono identificati elementi biologici riconducibili alla presenza di alghe e funghi. A conferma dell’uso di gelatine per ottenere l’impronte, il campione di un residuo risultava essere costituito da colla proteica e da una piccolo quantitativo di talco.
Dopo la documentazione fotografica prima dell’intervento, la pulitura è stato il primo atto meccanico sulla superficie dei modelli. Rispettando la composizione chimica delle patine, si è proceduto inizialmente con una pulitura a secco, con l’ausilio di pennelli a setola morbida, aspirazione della polvere e dello sporco più coerente depositato. Successivamente, la pulitura è stata eseguita per via umida con cotone idrofilo imbevuto di acqua deionizzata e Tween 20 diluito al 3-4 %. Sulla superficie dei modelli totalmente acromi, privi di patina artificiale, per la rimozione della polvere si è preferito intervenire con il gel Agar. Questo prodotto, disciolto in acqua calda e applicato sulla superficie allo stato liquido, solidifica durante il suo raffreddamento e quando viene rimosso dalla superficie dal manufatto, agisce con una delicata azione di “peeling”, asportando solo ed esclusivamente lo sporco. Il gel di Agar è particolarmente indicato per la pulitura delle opere realizzate in gesso, poiché non impasta la materia e non apporta eccessiva umidità. In alcuni casi abbiamo testato anche l’azione di ulteriori tecniche meccaniche, ma niente ha dato i risultati estetici e conformi al rispetto della materia come questa metodologia.
A seguito della pulitura è stato eseguito un intervento di tipo strutturale volto in primo luogo a consolidare la materia nei casi in cui questa appariva pulverulenta e con tendenza a disgregarsi e, in seconda istanza, a ripristinare l'adesione tra parti di modellato distaccate. Per tali operazioni ci siamo avvalsi dell'utilizzo di resine viniliche che, con differenti diluizioni, sono riuscite ad avere una funzione sia coesiva che adesiva.
L’intervento ricostruttivo più importante è stato eseguito sul modello dell’opera “strumenti musicali”. L’oggetto presentava all’altezza del piano d’appoggio, profonde fenditure con evidenti perdite materiche. Come abbiamo potuto rilevare durante l’osservazione diretta, il degrado era stato provocato dall’ossidazione dei perni metallici interni che con il tempo e l’azione dell’umidità si sono ossidati, aumentando di volume e perdendo la funzione di sostegno, distaccati dalla materia in cui erano immersi. In questo particolare caso, è stato necessario rimuoverli definitivamente e sostituirli con una ricostruzione meno invasiva ma ugualmente resistente per adempiere la funzione di sostegno, mediante un’armatura interna in rete metallica Nell'affrontare le ricostruzioni materiche dove le linee formali apparivano riconducibili tra loro e non lasciavano spazio ad alcuna interpretazione, abbiamo cercato di riproporre l'andamento superficiale ma distinguendo le nuove integrazioni dall'originale per mezzo di un ritocco ad acquerello effettuato a "puntinato", tecnica ormai consolidata nel nostro settore.
Laura Speranza, direttore del settore materiali plastici e vitrei dell’Opificio delle pietre Dure
Rosanna Moradei, direttore tecnico del settore materiali ceramici e plastici dell’Opificio delle Pietre Dure
Chiara Gabbriellini, Francesca Rossi, Filippo Tattini - Restauratori