I modelli in gesso avevano un grande valore per Lipchitz; lo dimostra il fatto che siano stati conservati e successivamente, secondo il suo desiderio, affidati ai musei. Le opere donate a Prato ripercorrono tutti i periodi creativi della sua vita artistica: dalla prima figurazione all’arrivo a Parigi, con il bassorilievo Scena Mitologica del 1911; al periodo cubista a cui appartengono Arlecchino e mandolino del 1920 o Strumenti musicali del 1924; al periodo dei trasparenti, precursore dei vuoti di Henry Moore, rappresentato da Tete et Mains del 1933; fino alle opere dell’esilio negli Stati Uniti, Agar del 1949 e la lotta di Bellerofonte con Pegaso del 1964 (collocata nella Columbia University di New York); così come i ritratti dei galleristi Albert Skira e Curt Valentin o le opere realizzate con gli architetti.
Il valore che Lipchitz attribuiva ai suoi gessi si manifesta, per esempio, nel desiderio presente fin dagli anni di Parigi di essere fotografato nello studio circondato dai bozzetti in gesso, o nel realizzare un gran numero di fotografie di un solo gesso. Ci sono anche numerosi scatti dello scultore nello studio di Boulogne, vicino a Parigi, come più tardi in quello di Hastings, sempre circondato dai gessi. Queste fotografie, che Lipchitz chiedeva fossero pubblicate nei suoi cataloghi, indicano chiaramente l’importanza che avevano i gessi per lui.
I gessi ci presentano non solo le idee che muovono il pensiero visuale dello scultore, ma anche quel percorso che va dal modello di partenza all’opera conclusa, completa, così come i problemi relativi alla scala. Questi cambi di dimensione ci avvicinano al modo in cui l’artista vede l’opera collocata in un luogo pubblico: il modelage à grandeur, ovvero la grandezza naturale che l’artista ha concepito per l’opera.